Amore, pane e…burro

Kierlighed og Smørrebrød

At Smørrebrød er ikke Mad,

Og Kierlighed er ikke Had,
Det er for Tiden hvad jeg veed
Om Smørrebrød og Kierlighed.

Johan Herman Wessel

Amore e Pane e burro

Che il pane col burro cibo non sia

e l’amore odio non è

è l’unica cosa che io sappia

sul pane col burro e l’amore.

© trad. Annalisa Maurantonio

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Johan Herman Wessel

Johan Herman Wessel (6 ottobre 1742, Vestby nell’Akershus, – 29 dicembre 1785 Copenaghen) scrittore e poeta norvegese, soprattutto di commedie. Le più importanti sono Kiærlighet uden Strømper (Amore senza i calzini) e Comiske Fortællinger (Racconti comici), nonché barzellette e aneddoti comici in versi.

Johan Herman Wessel era figlio di un pastore protestante e fratello maggiore di Caspar Wessel, matematico e linguista dano-norvegese. Il padre era nipote dell’eroe ed esploratore Peter Tordenskjold Wessel. Nel 1761, fu trasferito dalla Scuola di Latino a Christiania (attuale Oslo) all’Università di Copenaghen per i suoi studi. A Copenaghen, Wessel non diede mai un esame e si guadagnava da vivere come insegnante privato e letterato, traducendo opere di teatro e come redattore del giornale satirico Votre Serviteur otiosis.

Wessel fondò e diresse Det Norske Selskab nel 1772, e ne fu uno dei pilastri. Det Norske Selskab nacque come una comitiva di gaudenti studenti norvegesi residenti a Copenaghen e che si riunivano al Café di Madam Juel in Læderstræde. Si riunivano e raccontavano del proprio paese attraverso racconti satirici, barzellette e canti. Ma discutevano anche di arte e politica ed erano particolarmente interessati alla giustizia e alla democrazia. La saggezza del contadino norvegese e la natura norvegese erano i temi preferiti in un periodo in cui la grandezza del passato medievale in Norvegia stava tornando di moda. Il circolo degli studenti arrivò a contare 100 iscritti e molti tentarono la strada per diventare scrittori. Ma purtroppo la maggior parte di loro non erano né bravi studenti né buoni scrittori. La cosa migliore che sapevano fare era brindare alla loro natìa Norvegia con l’inno Kiæmpers Fødeland (Patria di combattenti), un canto che uno dei promotori del circolo, Johan Nordahl Brun, aveva scritto in onore della propria patria. Molti dei membri del circolo, poco per volta, rientrarono in Norvegia, mentre Johan Herman Wessel rimase a Copenaghen.

Le sue opere

Uno dei racconti comici di Wessel più famosi è Herremanden (Il Signorotto). Si racconta di un possidente che dopo la morte finisce all’inferno per colpa del figlio che ha dissipato tutti i suoi averi nel gioco e con le donne. Il signorotto per rimediare alle perdite finanziare fu ”costretto” a fare lo strozzino e tartassare i suoi contadini, ragion per cui si è guadagnato l’inferno. Ma nell’al di là infernale incontra con sua grande sorpresa il cocchiere Jochum il quale gli racconta di trovarsi all’inferno per essere stato adultero ed essersi messo con la moglie del signorotto e di essere il vero padre di quel figlio spendaccione e donnaiolo per colpa del quale il signorotto era finito all’inferno.

L’opera più significativa di Wessel è Kiærlighet uden Strømper (Amore senza i calzini del 1772), una parodia dei drammi d’amore e una satira del dramma francese pseudo-classico. La commedia fu un successo e fece di Wessel uno degli scrittori più famosi. Fu rappresentata per la prima volta nel 1772 e da allora continua ad essere messa in scena anche oggi.

Un’altra opera teatrale è Anno 7603 del 1781. Si tratta di un’opera meno nota e meno rappresentata e ha un minor valore artistico, ma ha ottenuto un suo particolare status ”cult” negli ambiti di science fiction, dal momento che si ritiene essere il primo esemplare letterario al mondo di un racconto di un viaggio nel tempo: i due protagonisti, Leandro e Julie, vengono catapultati nel futuro da una maga e si ritrovano nell’anno domini 7603, un mondo in cui i ruoli tra uomini e donne sono capovolti e solo le donne possono fare il militare.

Tra le poesie comiche, la più nota è Smeden og Bageren (Il Fabbro e il Fornaio – un fabbro accusato di omicidio viene salvato in quanto è l’unico fabbro del villaggio e la colpa viene fatta ricadere su un povero fornaio…perché di fornai il villaggio ne ha due e, in fondo, ne può bastare uno solo); si ricordano anche Hundemordet (L’assasinio del cane – una futile lite che finisce in tragedia), Gaffelen (La Forchetta) e tutta una serie di “mottetti” e adagi tuttora ricordati e utilizzati da norvegesi e danesi.

Wessel si è cimentato anche come scrittore di cose ”serie”, come le odi al sonno e alla modestia. Subito dopo Ludvig Holberg, Wessel è uno degli scrittori norvegesi più noti nella letteratura mondiale. Wessels plass, la piazza del Parlamento di Oslo, fu intitolata a lui nel 1891. Wessels gate nel quartiere di Meyerløkka a Oslo prende il nome da lui.

La sua abitazione a Vestby è tuttora custodita ed è di proprietà del Comune.

Wessel fu tanto arguto da scrivere il suo stesso epitaffio:

Han aad og drak, var aldrig glad

Hans Støvlehæle gik han skieve.

Han ingen Ting bestille gad.

Tilsidst han gad ei heller leve.

(Mangiò e bevve, non fu felice mai

Non cambiò mai i tacchi dei suoi stivali

Nulla desiderò per sé stesso, mai

Tanto da dar via, al fin, i suoi resti mortali.)

Riuniti a Sværtegade nr 7, Det Norske Selskab venne a conoscenza di un appello pubblicato sulll’Adresseavisen di aiutare un povero «che non ha nulla, neanche per coprirsi le pudenda». Fu una cosa che Wessel non poteva non lasciare inosservata e che commentò in rima così:

O, kommer og redder
mig arme Per Skrædder
som ikke kan skjule
for himmelens fugle
den lille Guds gave
jeg fikk på min mave.

(Oh, venite a salvare

povero me, Per il Sarto,

che non può celare

per divin “parto”

quel minuscolo dono di Dio

che c’è sotto al ventre mio)

Dedicati alla moglie sono i seguenti versi che Wessel scrisse nell’osteria di Løvstræde insieme ai suoi amici:

Du, som for din og min Plaseer
og hidindtil for intet meer
hos mig har sovet.
Dig, som jeg svor en evig Troe
og jævnlig afbrudt Natteroe
for Præst har lovet –
– dig giør jeg vitterligt, min Mo’er
at jeg ei spiser ved dit Bord
for denne Sinde.

(Tu che per il tuo e il mio piacere

– e finora per null’altro dovere –

Hai dormito al mio fianco

A te, alla quale ho giurato eterna fedeltà

E sovente interrotto la notturna tranquillità

al Prete ho promesso financo

–         a te rendo pubblicamente, mia diavola

di non mangiare alla tua tavola

per questo peccato)

Wessel morì a Copenaghen e fu sepolto nella Trinitatis kirke (Chiesa della Trinità). La tomba in seguito scomparve, ma fu sostituita da due simboli commemorativi: un monumento comune con Johannes Ewald ed una statua di Wessel del 1879 eseguita dallo scultore Otto Evens.

Autografo di Johan Herman Wessel. Un biglietto indirizzato al direttore d’orchestra del teatro Warnstedt, riguardo una traduzione del testo in due atti di Monvel, il brano cantato “De tre Forpagtere” eseguito per la prima volta il 30 ottobre 1780

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Marie Takvam (1906 – 2008)

Marie Takvam (1906 – 2008)

Marie Takvam nasce il 6 dicembre del 1926 a Tranby. Le notizie biografiche su Marie Takvam sono piuttosto scarse, in quanto vivente riesce a difendere ancora la sua vita privata, sebbene le sue poesie tradiscano molti aspetti della sua personalità. La critica, infatti, considera la sua poesia privata e autobiografica. Non si può negare che c’è sempre qualcosa di autobiografico nel lavoro di un artista, dal poeta allo scultore, al musicista.

L’autrice scrive in nynorsk.

Negli anni ’70 fu la protagonista nel film di Vibeke Løkkeberg “Åpenbaringen – Rivelazione”. Takvam ha scritto anche numerosi libri per l’infanzia.

Cresciuta a Sunnmøre, si trasferì giovane a Oslo. Debuttò nel 1952 e da allora ha prodotto una serie di raccolte poetiche e di romanzi. Comincia a scrivere seguendo una linea poetica legata ancora alla tradizione, ma in seguito le sue raccolte di poesie si fanno sempre più ricche di spunti modernisti, con frasi brevi ed enigmatiche, immagini fantastiche, ma piene di vita, sensualità, sensibilità, emozione, carnalità, passione, intelligenza, ironia ed eleganza. Un mondo poetico fatto di contrasti e ritmi vivaci come la vita che Takvam racconta in rima.

Fin dal debutto nel 1952, i libri di Marie Takvam, senza eccezione, sono stati considerati biografici e intimisti. Con la raccolta di poesie del debutto “Dåp under sju stjerner – Battesimo sotto sette stelle”, si viene a conoscenza già della struttura della lirica della scrittrice in prospettiva delle sue successive raccolte. C’è l’amore, la dissoluzione, l’anelito metafisico, l’identificazione con le persone che soffrono. Paal Brekke, in una sua recensione, ammise di essere stato felice di aver letto quel libro. Scrisse che Marie Takvam «è una persona ricca, assolutamente giovane che anche in questi giorni osa credere nella vita». Nel 1952 Marie Takvam aveva 25 anni e Paal Brekke 29, quattro anni in più rispetto a quella “persona assolutamente giovane” fanno sì che Brekke si esprimi in modo così paterno nei confronti dell’esordiente scrittrice.

[…] Leggere la poesia di Takvam negli anni ‘50 in relazione agli avvenimenti contemporanei è come mettere benzina su un fuoco addormentato. Senza mettere in dubbio le qualità liriche di altri scrittori, si può ben dire che la poesia di Takvam è molto più incentrata sul “desiderio” di quella di Hagerup e Halldis Moren Vesaas; le poesie contengono molto più sarcasmo di quanto se ne possa trovare in Erling Christie e André Bjerke. Nel temperamento c’è solo Gunvor Hofmo che supera Takvam, ma le due scrittrici sono ben lontane dall’essere confrontate: tutti i più importanti giudizi di Hofmo sono di tipo metafisico, mentre quelli di Takvam appartengono al dramma della storia e del tempo.

Le poesie in prima persona di Takvam non escludono il fatto che, oggi, la sua eredità spirituale e la sua umanità siano un patrimonio comune condiviso con ogni lettore. Nell’Io narrante di Takvam chiunque può sentirsi libero di identificarvisi e con maggior convinzione quando una poesia comincia così: «Io …»

Bibliografia:

“Dåp under syv stjerner – Battesimo sotto 7 stelle” (Poesia – 1952)

“Syngande kjelder  – Sorgenti canore” (Poesia – 1954)

“Signal – Segnale” (Poesia – 1959)

“Maria og Katten i Venezia – Maria e il gatto di Venezia” (Libro per l’infanzia – 1960)

“Merke etter liv – Attento alla vita“ (poesia – 1962)

“Mosaikk i lys – Mosaico in luce” (Poesia – 1965)

“Idun” (Dramma teatrale – 1966)

“Brød og tran – Pane e olio di fegato di merluzzo” (Poesia – 1969)

“Auger, hender – Occhi, mani” (Poesia – 1975)

“Dansaren – Il Ballerino” (Romanzo – 1975)

“Dikt i utval – Raccolta di poesie” (1976)

“Falle og reise seg att – Cadere e rialzarsi” (Poesia 1980)

Breve fra Alexandra – Lettere da Alessandria (Romanzo – 1981)

Aldrande drabantbly – Matita  (Poesia – 1987)

Rognebær – Sorbo (Poesia – 1990)

“Dikt i samling – Raccolta di poesie” (poesia – 1997)

Marie Takvam nel 2006

A una donna che ama

[da “Cadere e rialzarsi” – 1980]

No, non dubitare mai della forza dell’amore!

Anche oggi ha reso una persona più bella:

te stessa.

MARIE TAKVAM

(trad. Annalisa Maurantonio)

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La ballata della moglie del marinaio

[da “Battesimo sotto sette stelle” 1952]

 

Lui è lontano.

E tu sei vicino.

Io non devo, non voglio

averti caro.

 

Lui sta a guardare

la fredda onda

che caldi pensieri

allontana.

 

Solitario fa’

la vedetta

e mormora un giuramento

che ho fatto.

 

Lui è lontano,

tu sei vicino.

Io non devo, non devo

averti, caro.

 

Marie Takvam

(© trad. Annalisa Maurantonio)

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Takvam e il senso religioso della vita

[…] E’ sempre nel libro del debutto che si delinea l’anelito metafisico delle poesie di Takvam. Lo struggimento per le domande senza risposta trova voce nella preghiera enfatica. […] In tutta la sua carriera incontriamo un ardente consapevolezza della relazione tra il tempo che passa e l’amore, tra la morte e il desiderio. Non c’è la spiritualità cosmica di Aukrust o la tetra religione di Hofmo, ma la consapevolezza delle relazioni fondamentali. Takvam è una cronista dell’amore, ma soprattutto una cronista delle relazioni: l’Io viene accusato e accusa persone e avvenimenti, animali e cose, e in questa prospettiva il lavoro letterario di Takvam può essere letto come un’unica grande poesia.

 

Tv

[da “Città satellite invecchiata” – 1987]

I bambini vogliono raccogliere le rose dallo schermo del televisore,

ma le mani si scontrano con il freddo vetro.

Il cane abbaia alle pecore che saltellano

su una collina in una località della Scozia, laggiù,

ma le pecore non ascoltano il latrato.

Noi che siamo saggi, non ci commuoviamo

quando vediamo la gente che si uccide

dietro quello schermo,

ma il cuore si incupisce e il sudore gocciola

e l’impotenza imperversa.

 

Impotenti davanti alla Tv

[da “Città satellite invecchiata” – 1987]

C’è un mondo tra le montagne

dove le pietre mi parlano

dove il geranio selvatico e la ginestrina sprofondano

alle prime incerte salite.

 

Ora non ci sono più montagne intorno al mondo.

È il mondo che precipita su di me,

fin dentro al mio soggiorno,

e io siedo indifesa e piccola

affondo nelle immagini che provengono da un angolo della stanza.

[Marie Takvam]

© trad. Annalisa Maurantonio

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Takvam e la vecchiaia

[…] Mi sono vista allo specchio / una fredda chiara mattina / e ho visto i lineamenti del cranio / più chiari e più pallidi di prima. In questa poesia “Ein iskald lys morgon – Una fredda chiara mattina” emerge la consapevolezza della morte alla luce dei caratteri ‘memento mori’ del cranio. Quello che si nasconde sotto la pelle è una prefigurazione, un anticipo della morte che prima o poi verrà e che già lavora di nascosto. Numerose sono le poesie di Takvam che girano intorno all’argomento dell’invecchiamento e della decadenza fisica. […] Takvam aveva 35 anni quando questa poesia fu pubblicata. “Emma talar om hunden sin – Emma parla del suo cane” è una parafrasi di una poesia di Villon su una anziana prostituta che si lamenta della perduta giovinezza e bellezza, e in questa poesia sono introdotte molte immagini del decadimento fisico femminile presenti nelle poesie di Takvam, tra le altre cose il cedimento dei seni. […] In seguito, Marie Takvam scrive nelle sue poesie il processo del suo invecchiamento. Nelle poesie precedenti, il tema poteva essere considerato metaforico. […] Nei libri senili l’Io poetico corrisponde sempre più all’immagine stessa della poetessa. […] Takvam nega questa conclusione anche quando in una poesia fa riferimento alla sua personale rabbia, vis-à-vis, con il processo di invecchiamento anche se lo fa con un certo umorismo. Similmente alle poesie dell’ultimo periodo di W.B. Yeats, con il quale Marie Takvam è stata spesso paragonata, la poetessa si scontra frontalmente con la vecchiaia e il decadimento. L’urlo di Yeats «Why should not old men be mad?» trova la sua controparte femminile nelle parole: «Combatterò contro gli anni, i giorni, i minuti, / ma tu sei un Signore forte, grande Tempo» (da “Il sorbo” del 1990, dove tra le altre cose il Tempo viene chiamato – oltre che Signore – anche Re e Madre). Mentre il senso delle speculazioni teosofiche e neoplatoniche di Yeats – nonché il suo sesso – gli hanno assicurato un posto tra i grandi lirici della storia della letteratura, quando riesce a fondere i ricordi personali con quelli comuni e universali, la radicalità (malinconica) di Takvam e il suo retroscena femminile fanno giudicare le sue poesie senili troppo private. […] Nella poesia “Barndomsminne – Ricordi d’infanzia” si arriva alla relazione tra il passato e il presente. Nella poesia il lettore incontra un Io narrante anziano che si rivede bambino, e in questa fase si è di fronte ad una poesia dal carattere privato. Contemporaneamente, questo ricordo si trasforma in un’immagine più comune di pubblico dominio: il ricordo privato attraversa una metamorfosi e diventa un ricordo della comunità, così come i bravi, genuini artisti sanno fare».

 La vecchia disse:

[da “Città satellite invecchiata” – 1987]

“Serie di volti” di Anila D. Ciccone

Nessuna mano mi sfiora.

Nessuno sguardo si illumina per me.

Nessuna bocca si avvicina alla mia.

Nessuna parola ardente

danza nelle mie orecchie

e tempra

e riscalda il mio cuore.

 

Ora sono sola con il bosco

e con i fiori,

mi avvicino alla terra

giorno dopo giorno.

[Marie Takvam]

© trad. Annalisa Maurantonio

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Fianco a fianco – Marie Takvam

[da “Mosaico in luce” – 1965]

Oggi è un giorno senza angoscia.

Pieno dell’orrore della certezza.

Io sarò sempre io.

Tu sarai sempre tu.

Fianco a fianco

in una strada affollata

ci tenderemo l’uno verso l’altra

senza raggiungerci.

Amore e odio.

Fianco a fianco senza conoscerci.

Creature solitarie

vagheremo

all’ombra della casa dei sogni.

Creature meravigliose.

 

Vieni, dammi ancora una volta la tua mano

lasciamoci finalmente venire a conoscenza

dell’altro prima che noi ce ne accorgiamo,

ma noi saremo sempre così lontani:

ogni tanto ci amiamo un po’.

[Marie Takvam]

 

(© trad. Annalisa Maurantonio)

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L’amore terreno – Marie Takvam

[da “Cadere e rialzarsi” – 1980] 

L’amore appesantisce le nostre membra

come se fossimo appena usciti dall’acqua.

 

L’amore alleggerisce le nostra membra

per farci sentire parenti degli uccelli. 

L’amore ci butta via inutilizzabili

così intuiamo cos’è la morte.

 

L’amore ci insegna a credere

di vedere la luce più intima della luce. 

Mortale e vitale è l’amore:

una cosa sola con il sole!

[Maria Takvam]

(© trad. di Annalisa Maurantonio)

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Ditt ansikt – il tuo volto (Marie Takvam)

[da “Segnale” – 1959]

Ora ho visto il tuo volto

per la prima volta dopo giorni e notti

lo vedo chiaramente alla luce del giorno

le mie unghie hanno segnato profondamente la tua fronte

la vedo alla luce del giorno – la verità

Sei lo stesso? Chi sei?

Sempre ancora e ancora e ancora ho detto:

Per la prima volta ora so chi tu sia

Per la prima volta ora ho intravisto un barlume

Il volto dell’uomo, dell’anima che mi è cara!

(Marie Takvam)

© trad. Annalisa Maurantonio

(la mia preferita tra le poesie di Takvam)

Nå har eg sett ditt ansikt

Først nå etter alle dagar og netter

ser eg det klårt i morgonens lys

min nagl har sett merke djup i di panne

Eg ser det i morgonens lys – det sanne

Er du det same? Kven er du?

Stendig på ny og påny og på ny har eg sagt:

Først nå veit eg rett kven du er,

Først nå har eg skimta så vidt i ein glimt!

det menneskeansikt, den sjel eg har kjær!

(Marie Takvam)

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La profonda oscurità nel cuore del mio amato – Marie Takvam

[da “Sorgenti melodiose” – 1954]

Chi sei tu

che hai toccato il mio intimo?

Non sollevare la visiera.

 

Ridi di me

come di un bambino

che spera di toccare

Orione

con il braccio teso?

 

Guardami.

Voglio darti dei figli –

chiamami bizzarramente

il tuo pensiero più caro,

 

poi catturerò

le tue parole

come uccelli

tra le mie mani.

Portarli sotto il cielo

sollevarli

lasciarli volare verso le stelle

chiamarli i nostri figli dell’anima.

 

Una testimonianza

per l’eterno universo

della nostra esistenza -.

[Marie Takvam]

 

(© Trad. Annalisa Maurantonio)

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